domenica 26 luglio 2015

Si muore un po' per poter vivere

Ho approfittato di un venerdì da un cliente al mare, e mi sono fatto un weekend in Toscana. Amo quella regione, quel miscuglio di colline verdi e ocra, con il mare sullo sfondo, e quella cultura diffusa del mangiar bene, della ricerca della qualità nel cibo e nel vino. Per questo mi piace trovare nuovi posti, nuovi ristoranti, conoscere nuove persone e godere di questa grande restaurazione che è il cibo di qualità prodotto con criteri moderni.

Ho avuto la fortuna di partecipare ad una cena di degustazione presso questo meraviglioso ristorante, dove una chef di gran talento e di enorme impegno nella qualità della materia prima mi ha fatto gioire di una cena che si è protratta fino all'una di notte, fra piatti sublimi, presentazioni di giovani produttori entusiasti della loro attività, sia essa rivolta alla viticultura piuttosto che alla casearia o alla produzione di farine con semi antichi. Una festa per gli occhi, e per le papille gustative.

Mi hanno colpito questi giovani imprenditori, toscani e non. Un produttore di vino, un ragazzo al massimo quarantenne di Milano, con pochi ettari di vigna sopra Suvereto, crea un vino strepitoso, con forte acidità che fornisce quella freschezza tanto apprezzata da me nella calda notte della cena, accompagnando un antipasto che è geniale per l'idea (macarons di pesce povero accompagnato da una stracciata di pesce bianco sodo e formaggio) e per l'armonia di gusti. Una produttrice di formaggi cagliati rigorosamente da latte crudo, senza alcun additivo chimico (il sapore era un esplosione, soprattutto sul pecorino Merlinguzza, che non finiva mai di stupirmi per ciò che raccontava in bocca, accompagnando anime di muggine affumicato che sembravano nate per viverci assieme). Giovani entusiasti di ciò che facevano, della qualità straordinaria dei loro prodotti, che peraltro è difficile trovare appena pochi chilometri fuori da questa landa benedetta.

Seduto al tavolo, con dei commensali conosciuti al momento, mi godevo questa meraviglia, e riflettevo come tante cose mi mancano delle affinità avute con alcune donne che ho amato, e come la misteriosa alchimia, che si chiama amore, sia composta anche di questo. Son diventato intollerante, oramai: una donna che non sappia godere del buon cibo, del buon bere, del sesso fatto non solo di ginnastica ma soprattutto di emozioni e trasgressione,  e che non ami i gatti non fa per me. Andrà benissimo per qualcun altro, ma so già che con me non troverà la sintonia.

Il guaio è quando la trovi, e poi non funziona ugualmente, perché queste cose, purtroppo, non son sufficienti. E così, davanti all'Oro di Caiarossa che chiudeva la cena, mi son trovato a sorridere a me stesso. Anche se fa male, tanto, meglio solo che accompagnato in una asimmetria devastante.


mercoledì 22 luglio 2015

Non si ama abbastanza

M. mi manda un whatsapp raccontandomi che sua figlia sta attraversando un brutto momento con il marito. Non sono esattamente la persona più indicata per questo tipo di problemi, avendo nel mio curriculum un divorzio ed una rottura di un rapporto al quale tenevo tantissimo ma che non son riuscito a preservare (forse perché bisogna essere in due per farlo? chissà), però rispondo alla sua muta richiesta di scambio di opinioni e vado a prendere una cedrata da lei.

Si, può sembrare alquanto strana sta cosa, di M. avevo parlato anni fa qui. Un'amicizia valica anche le differenze significative d'età (suo figlio ha pochi anni meno di me) e si nutre di stima, di rispetto, di comprensioni che si possono assimilare a complicità, anche se ben diverse da quelle di due persone che si amano. Con M. abbiamo visto mostre, discusso di politica, litigato sui massimi sistemi e su come coltivare i fiori. Mi ha raccontato parte della sua vita, e io parte della mia. Ha assistito alla mia storia, ai miei sforzi inutili per non farla finire, e ai sensi di colpa di cui mi sono nutrito. Mi è stata vicina senza giudicare, cercando di darmi il punto di vista suo, ma senza imporlo.

Mi parla di sua figlia, di suo marito. Dei problemi che sembrano esserci. La figlia che perde il lavoro, ricco e di soddisfazione, e non accetta un ripiego, avventurandosi in un'attività impegnativa ma senza riscontro economico. Il marito che le rinfaccia di essere "choosy", di non contribuire a far avanzare la baracca. Sottotraccia il timore di non riuscir da solo, e la gelosia di non essere anche lui libero di poter scegliere in base all'appagamento, ma costretto a guardare solo all'aspetto economico. In mezzo le cattiverie, le ripicche, le frasi sbagliate dettate dall'ira, dalla frustrazione, dal non voler ammettere una cosa di cui, in fondo, ci si vergogna perché mette a nudo la propria fragilità.

Via via che M. mi racconta sento montare dentro di me l'angoscia di un rapporto che ha tanto di buono dentro, e che si butta via per mancanza di comunicazione da parte di entrambi. Rivedo la mia relazione, e scorgo tanti parallelismi. Riconosco gli errori che ho, che abbiamo commesso insieme, due orgogliosi e testardi che piuttosto di fare un passo ed ammettere di non essere "perfetti" hanno rovinato tutto. Non voglio che succeda anche a loro, è evidente che hanno tante cose che li uniscono ancora fra loro, amore e figli.

Sommessamente spiego a M. che lei può fare qualcosa: entrambi la ascoltano, vedono nella sua ruvida intelligenza un riferimento da ascoltare. Le dico che avere qualcuno che sappia far vedere le cose da fuori è importante (un altro mio errore non averlo cercato quando era tempo), ma ancora più importante è saper mostrare che, quando ci sono problemi, si possono superare solo insieme, con la consapevolezza delle reciproche colpe (non stanno mai tutte da una sola parte, e l'autoassoluzione totale è solo un modo di non voler affrontare il problema) e soprattutto con il perdono, che non cancella ciò che è stato, ma è l'unico modo per dire: "quel che è successo non può essere cambiato, ma da qui ripartiamo. Resterà un segno, che ad ondate si ripresenterà come un'ombra, ma solo perdonando ci diamo fiducia reciproca, anche contro la razionalità".

M. mi guarda, capisce, e mi dice: bisogna essere in due. Uno può commettere un errore, ma bisogna ripararlo assieme, altrimenti non è amore. Se non si perdona - anche al di la della razionalità e delle paure - è vero, non si ama abbastanza.


giovedì 16 luglio 2015

Gli uomini cambiano auto

Spesso le donne, quando chiudono una storia d'amore, cambiano pettinatura. Colore di capelli, taglio, qualunque cosa. E' un segno, un'esibizione di cambiamento.
Possono cambiare atteggiamento (ne parlavo stamattina con una nuova amica, qualcuno direbbe una nuova groupie), modo di porsi, tranquille signore trasformarsi in belve, oppure rinchiudersi nel loro guscio e vivere il lutto. Quelle più attive si lanciano in un trasloco.

Gli uomini, si dice, fanno diverso. Magari una serata di sbronza con gli amici. La ricerca del chiodo scaccia chiodo. Una trombata scacciapensieri. Una corsa in moto. Un lancio in parapendio. I disperati cambiano lavoro.

Oppure cambiano auto.



Quelli più persi magari vanno pure a lavorare da chi costruisce l'auto che hanno comprato. Un modo di sublimare alquanto strano

mercoledì 15 luglio 2015

Do Re bemolle

Diciott'anni ancora da compiere. Londra. La notte di San Lorenzo, il pub, la Guinness. La vita che si presenta. Amici, amiche.

Girare per la città. Ridere, scherzare. Guardare quella ragazza dai polpacci troppo grossi. Quell'altra dal corpo spettacolare. Trovarsele entrambe al cinema sedute al mio fianco, le loro mani addosso finché si accorgono l'una dell'altra.

Il vecchio college, pavimenti di legno che scricchiolano. Stanze ampie. La cappella con un pianoforte accordato e decente, ma soprattutto con una collezione di spartiti interessanti. Beethoven. Chiaro di luna. Patetica. Appassionata. La musica nelle dita. Comincio a studiare. A diciott'anni si impara veloce, le dita non sanno il corpo delle donne, ma sanno molto bene la tastiera. I pallini neri entrano nelle mani, escono suoni. Escono emozioni. La ragazza dal corpo spettacolare non capisce, e io non capisco il suo corpo. La ragazza dai polpacci grossi capisce, e mi insegna a capire.

La luce della notte che entra dalla finestra aperta, il muro di mattoni rossi di fronte. Lei che si muove adagio sopra di me. Un mondo nuovo che scopro. Un mondo che si muove diversamente ma insieme ai pallini neri sul pentagramma. Si cammina nella notte. Si guardano gli occhi. Non solo quelli.

Sbaglio i tempi, stono. C'è così tanta differenza fra lo spartito, i tasti bianchi e neri, la pelle profumata e calda. Da un lato i passaggi tardo neoclassici d'agilità, dall'altro le scale.

Tanti anni son passati da allora, e quella stonatura la guardo con affetto. Le mani non sanno più i tasti bianchi e neri, hanno perso l'agilità della musica. Gli spartiti della vita si sono susseguiti, lasciandomi ogni volta con quel senso di vuoto e di amaro che c'è in un passaggio sbagliato, in un passaggio nel quale Do e Re bemolle fanno a pugni, incapaci di accordarsi su qualsivoglia tonalità. Eppure sembravano perfetti, in quel giro armonico iniziale, e continuo a chiedermi perché non lo sono rimasti.